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di Roberta Baiano
Nel cuore di Napoli, dove il quartiere Pendino si stringe intorno a Corso Garibaldi, c’è un giardino. Un cancello secondario, vialetti nuovi, alberi ordinati.
Nessun segno in superficie racconta ciò che questo spazio trattiene.
Eppure, qui – nel giardino di Santa Maria della Fede – la città nasconde un pezzo della sua storia più silenziosa: un cimitero acattolico, nato nel 1826.
Il terreno lo acquista Sir Henry Lushington, console britannico.
Lo fa per la comunità protestante, che fino ad allora non aveva un luogo dove seppellire i propri morti.
Vi trovano posto scienziati, viaggiatori, diplomatici, inglesi e tedeschi.
Viene ampliato nel 1852, ma chiuso nel 1893, travolto dallo sviluppo urbanistico.
Non sparisce però.
Il vecchio ingresso viene abbandonato, l’area riorganizzata, molte tombe rimosse.
Alcune restano.
Lì accanto, la chiesa di Santa Maria della Fede ha alle spalle una storia altrettanto stratificata. Nasce nel Seicento per iniziativa dei fedeli.
Passa poi agli Agostiniani Riformati, che ne rimodellano gli spazi e costruiscono un monastero.
Alla soppressione dell’ordine, interviene Maria Amalia di Sassonia, che la trasforma in ritiro femminile.
Più tardi diventa un ospedale per prostitute.
Oggi il giardino si attraversa.
Si cammina sopra un passato che non è mai stato esposto, solo nascosto.
Uno degli elementi visibili è un monumento: quello di Mary Somerville.
Mary nasce in Scozia nel 1780.
Il padre, un viceammiraglio, la manda a scuola da piccolissima e le assegna un marito a sei anni. Viene cacciata dalle elementari per avere risposto male a una maestra.
Il padre la chiude in biblioteca.
Ed è lì che comincia tutto.
Mary legge di nascosto, una notte dopo l’altra.
A dieci anni viene spedita in un collegio d’élite, dove si insegna il cucito.
Dura poco.
Viene rimandata a casa.
Studia da sola.
Si educa così.
A vent’anni sposa Samuel Greig, un ufficiale russo scozzese, ma rimane vedova a vent’anni.
Cinque anni dopo sposa William Somerville, medico e parente.
È lui a riconoscere il suo talento.
Le compra libri, la incoraggia, le apre la strada.
Mary comincia a pubblicare.
Vince una medaglia per aver risolto un enigma matematico pubblicato da una rivista nel 1811. Elabora teorie fisiche, discute Laplace, Gauss.
Scrive Physical Geography, collega le forme del pianeta alle forme della vita.
Anticipa intuizioni ecologiche.
Sostiene che la Terra sia molto più antica di quanto riporti la Bibbia.
La accusano, la attaccano.
Lei continua.
Nel 1860, nuovamente vedova, sceglie Napoli.
Non solo per viverci, ma per studiarla.
Frequenta l’Osservatorio di Capodimonte, l’Accademia Pontiniana, le aule dell’università.
Si sposta a San Giuseppe Vesuviano per osservare da vicino l’attività del vulcano.
Dopo la guerra aderisce all’UDI, scrive articoli per denunciare l’infanzia abbandonata.
Muore nel 1957, lasciando dietro di sé 750 allievi.
In suo onore viene nominato un cratere lunare. Ma è a Napoli che lascia il suo corpo.
Nel vecchio cimitero di Santa Maria della Fede, il suo monumento è ancora in piedi.
Lo scolpisce Francesco Jerace nel 1876.
Lei è ritratta con calma, lo sguardo altrove.
Secondo un racconto, amava scrivere seduta su una piccola sedia sulla riva dell’antica spiaggia di Chiaia.
Forse non è vero.
Ma la figura che resta sembra confermarlo.
Intorno a lei, tutto è cambiato.
Ma lei resta.
In silenzio, in pietra, in superficie.